Serviranno 15mila voli per distribuire i vaccini contro il Covid-19
Lo sviluppo di una supply chain adatta alla distribuzione del vaccino al Covid-19 si sta facendo largo fra i temi di maggior attenzione tra quelli collegati all’emergenza sanitaria. Un significativo contributo al dibattito arriva ora da un white paper elaborato da Dhl con il contributo di McKinsey&Company, che tiene conto anche di alcuni scambi che […]
Lo sviluppo di una supply chain adatta alla distribuzione del vaccino al Covid-19 si sta facendo largo fra i temi di maggior attenzione tra quelli collegati all’emergenza sanitaria. Un significativo contributo al dibattito arriva ora da un white paper elaborato da Dhl con il contributo di McKinsey&Company, che tiene conto anche di alcuni scambi che il gruppo tedesco ha avuto con “esperti dell’industria e rappresentanti di Ong”.
Moltissimi gli spunti presenti nel report, che si propone di offrire uno strumento al servizio di governi partendo anche dall’analisi delle difficoltà che si sono verificate a livello logistico con la prima fase della pandemia, in particolare nell’approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale (Dpi).
Tra i punti di maggior interesse del documento (scaricabile gratuitamente, previa registrazione, a questo link), ci sono alcune stime rispetto allo sforzo logistico per la distribuzione del preparato. Dhl ipotizza infatti che per garantire una copertura globale – stimata nella consegna di circa 10 miliardi di dosi – saranno necessari almeno 15mila voli (per un totale di circa 200mila movimentazioni di pallet) da attivare nel giro di due anni, in particolare per raggiungere le aree più lontane dai centri di produzione. Cifra dunque ben superiore a quei 1.000 voli ipotizzati poco tempo fa da Colin Dunne, responsabile della divisione air freight di Ch Robinson. In totale si dovrà provvedere a 15 milioni di consegne in contenitori refrigerati.
Uno dei temi chiave affrontati nel documento sono lo le esigenze di raffreddamento che saranno necessarie per il vaccino ‘prescelto’ e ad oggi ancora ignote (attualmente sono circa 250 i potenziali candidati, dei quali 7 ‘in pipeline’, ognuno con necessità diverse). Secondo Dhl si può ipotizzare che in uno scenario stringent si rendano necessarie catene del freddo a -80°, ovvero a temperature pari a quelle delle condizioni dei test attuali, e che gradualmente, una volta verificata la stabilità del preparato o introdotti ulteriori passaggi produttivi (ad esempio la liofilizzazione) si possa progressivamente passare a temperature più elevate. Il secondo scenario, definito conventional è quello che prevede temperature comprese nel range tra +2 e -8°C (o ancora maggiori), il prevalente per la distribuzione attuale dei prodotti farmaceutici. Range che però sarebbe troppo rischioso per alcuni tra i candidati più promettenti (ad esempio i vaccini allo studio basati sull’Rna).
Due scenari che, rapportati alle attuali ‘infrastrutture’ mondiali, porterebbero a due quadri molto differenti, per via delle difficoltà di consegna nel cosiddetto ultimo miglio.
Secondo il report infatti la fase di trasporto ‘intermedia’ dei preparati dai possibili siti di produzione (perlopiù situati in Europa occidentale, in Nord America e in India) non pone grossi problemi, dato che le infrastrutture logistiche sono già presenti, e solo qualche difficoltà minore potrebbe generarsi nelle fasi di sdoganamento o dalle verifiche di qualità, che potrebbero allungare i tempi.
Diverso è però il discorso del trasporto last mile. Una catena del freddo ‘convenzionale’ permetterebbe di raggiungere con facilità una popolazione di circa 5 miliardi di persone in circa 60 paesi. Nel caso di una supply chain a -80°, sarebbero invece raggiunte facilmente solo 2,5 miliardi di persone in 25 Stati. Come prevedibile, tra quelli che si troverebbero tagliati fuori figurerebbero la maggior parte dei paesi asiatici (eccetto la Cina), dell’Africa e del Sud America (anche se secondo il report persino Islanda, Grecia e Irlanda non disporrebbero di una catena ‘ottimale’).
Ciò detto, la questione pare comunque essere ben chiara alle case farmaceutiche impegnate nello sviluppo del vaccino, e anzi in prima fila tra le loro preoccupazioni.
Un articolo del Wall Street Journal di pochi giorni fa ha fatto il punto su quali siano allo stato attuale le esigenze di conservazione di vari prodotti attualmente in test e su come le società produttrici stiano lavorando per semplificare la loro gestione. Tra i candidati ‘leader’, riferisce il giornale americano, i vaccini di Pfizer-BioNTech SE e di Moderna vengono attualmente stoccati a temperature tra i 70 e gli 80 °C sotto zero, anche se per il secondo la società punta a poter arrivare a offrire un prodotto con conservazione a -20°. Il preparato di Johnson& Johnson’s prevede invece trasporto a “temperature standard”, mentre per quello di AstraZeneca si dice genericamente che richiederà “refrigerazione”.
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