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Nel piano nazionale aeroporti 9 scali per il cargo
Sono nove gli scali su cui, secondo il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, è necessario accentrare l’attività cargo in Italia da qui al 2035. Per gli altri, anche se al momento le loro movimentazioni merci sono significative, non è possibile invece un ulteriore sviluppo e si prospetta anzi “un graduale phase out”. A […]
Sono nove gli scali su cui, secondo il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili, è necessario accentrare l’attività cargo in Italia da qui al 2035. Per gli altri, anche se al momento le loro movimentazioni merci sono significative, non è possibile invece un ulteriore sviluppo e si prospetta anzi “un graduale phase out”.
A queste conclusioni arriva la nuova proposta di Piano Nazionale Aeroporti elaborata da Enac sulla base delle linee guida dell’ex ministro Enrico Giovannini, pubblicata nei giorni scorsi e redatta – si legge nelle premesse – in una ottica di “riconciliazione del trasporto aereo con la tutela dell’ambiente” e quindi con l’obiettivo di rendere il suo sviluppo “coerente e permeabile” rispetto ai temi della sostenibilità ambientale, della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica. Il testo resterà in consultazione fino al prossimo 21 novembre.
Nella lista dei nove aeroporti compaiono ovviamente Malpensa e Fiumicino (che meritano la definizione di scali air cargo principali) ma anche Venezia Tessera, Brescia Montichiari, Taranto Grottaglie, Ancona Falconara, Catania Fontanarossa, Cagliari Elmas e Lamezia Terme (scali air cargo di riferimento). Un’enfasi particolare viene riservata all’aeroporto Gabriele D’Annunzio, “che si trova al centro della Pianura Padana ed equidistante dai territori più produttivi del nostro Paese”. I nove nodi sono stati individuati considerando “la possibilità ed eventuale necessità” di investimenti per il traffico merci, sia con l’idea di “presidiare e offrire spazi di crescita a tutte le aeree territoriali”. Tra i criteri presi in analisi ci sono stati i volumi di traffico, l’appartenenza alle reti Ten-T, le dotazioni infrastrutturali (anche in fase di progetto) e il livello di intermodalità di trasporto.
Almeno cinque, invece, gli ‘esclusi eccellenti’: Bergamo, Bologna, Pisa, Ciampino e Napoli, tutti aeroporti che pure, ammette lo stesso documento, ad oggi “movimentano una quantità elevata” di merce. Non contemplato, peraltro in linea con i recenti orientamenti della politica, un eventuale sviluppo del cargo a Parma. “Nonostante per alcuni di questi scali la dimensione di merci movimentati sia importante – rileva il documento – il ruolo del traffico merci deve essere riconsiderato in relazione alla riconciliazione con l’ambiente e con il territorio, che non ne permette ulteriore sviluppo, prospettando al contrario un graduale phase-out”.
Per comprendere come l’analisi pervenga a queste conclusioni sono necessari alcuni passi indietro. Il punto di partenza dell’intero capitolo ‘cargo’ del Pna è infatti che l’Italia abbia ancora ampi margini di espansione nel settore, sia perché nel suo insieme i volumi sono destinati a crescere per via dello sviluppo dell’e-commerce e dell’abbreviarsi del ciclo di vita dei prodotti in chiave time to market, sia perché la sua quota sul totale europeo (5,5%) è ad oggi molto minore rispetto a quella ‘espressa’ sul fronte passeggeri (11,6%) nonché bassa rispetto al peso delle sue esportazioni extra Ue (superiore all’11%).
Portare i livelli italiani del trasporto aereo cargo “a livello della media degli altri Paesi europei comparabili con la nostra produzione manifatturiera” secondo il piano sarebbe auspicabile non solo per l’evidente impatto economico ma anche perché sarebbe (abbastanza sorprendentemente) “un elemento di forte riconciliazione con l’ambiente, perché eviterebbe un traffico su gomma di mezzi di dimensioni estremamente rilevanti, con effetti dannosi per l’ambiente di grande entità”.
Tra i punti da risolvere e correggere, quello della estrema concentrazione del mercato, che vede primeggiare Malpensa con una quota intorno al 70% (mentre Fiumicino ha perso terreno durante la pandemia per via della riduzione dei voli passeggeri), ma anche una forte presenza degli snodi stranieri come punti di uscita della merce italiana esportata per via aerea extra Ue (tanto da rappresentare nell’insieme “il terzo aeroporto virtuale di sdoganamento”). Il problema, si legge nel Piano, “è abbastanza diffuso in tutta Italia, soprattutto al Centro Nord,” indipendentemente “dalla vicinanza di aeroporti cargo”. La criticità pare risiedere negli elevati dei tempi di sdoganamento pertanto, si legge nel testo, “obiettivo del piano è rendere il network attrattivo per favorire” lo svolgimento di queste operazioni negli aeroporti italiani.
Il tema dello snellimento delle procedure viene quindi considerato fondamentale. Tanto che nel testo si ammette che “senza la definizione di adeguate misure nei diversi settori della filiera del trasporto merci via aria, come per esempio nel campo delle procedure di controllo doganale o di security, in grado di attrarre i principali courier internazionali il solo disegno della rete aeroportuale del cargo aereo troverà difficile attuazione e sviluppo nello scenario nazionale”.