Kering Eyewear e Vibram spiegano le scelte in materia di rese contrattuali
La società dell’occhialeria vuole il controllo pieno sul prodotto, mentre l’azienda che produce suole in gomma sta evolvendo verso la Fca e oltre
Milano – Se l’utilizzo delle rese ex works è in Italia ancora predominante (nonostante i cali osservati dopo il 2020), a gestire con questa formula solo una parte residuale delle vendite (il 5% in volume) è invece una realtà d’eccellenza come quello di Kering Eyewear. Una scelta quasi d’obbligo- ha spiegato Massimo Cogo, responsabile della logistica globale dell’azienda nel corso del convegno ‘Franco fabbrica e made in Italy: problemi e soluzioni’, organizzato da Aice e svoltosi ieri a Milano – perché coerente con tutta la filosofia che ha guidato la società dalla sua creazione, nel 2014.
“Kering Eyewear – ha ricostruito il manager – è nata con l’idea di internalizzare il ‘prodotto occhiale’ dei vari brand del gruppo [Gucci, Cartier, Balenciaga, Bottega Veneta e così via, ndr], che fino a quel momento erano realizzati da aziende esterne sulla base di licenze, generando per il gruppo solo royalties e con una perdita totale del controllo sul prodotto”.
Avvalersi di rese non di tipo franco fabbrica per l’export è stata quindi una decisione in linea con l’idea di riacquisire questo controllo, che è ora esteso all’intera logistica, intesa come approntamento di spedizioni e gestione dei flussi. Ad oggi Kering Eyewear – che gestisce le spedizioni con uno staff interno di 7-8 persone, e il supporto esterno di Ormesani – effettua il 60% delle vendite con rese di tipo Dap o Ddp (rispettivamente Delivered at place o Delivered duty paid). L’ex works come vist vale per una fetta del 5% e, ha spiegato Cogo, è limitata a due soli casi, ovvero alle vendite interne al gruppo, cioè per la distribuzione alle boutique, e a un unico altro cliente autorizzato. A tutti i quello nuovi, ha concluso il manager, Kering Eyewear propone invece Incoterms “di tipo Fca o superiore”, che quindi permettano “il controllo proattivo degli Mrn (Movement Reference Number. Ndr) aperti” e “la verifica che le bolle doganali siano state emesse con dati corretti”.
Diverso il punto di partenza, ma non le conclusioni, di Vibram Spa. L’azienda varesina, produttrice di suole in gomma, ha spiegato Roberta Saporiti, accountant dell’ufficio Finance e Controllo di Gestione, ha avviato circa tre anni fa un percorso, supportata da Qvadra Srl, per mappare i flussi, definire ruoli e responsabilità e in ultima battuta valutare quali altre rese potessero fare al caso di Vibram, che finora usa prevalentemente per l’export le rese ex works.
Una scelta che però sta mostrando tutti i suoi limiti, ovvero innanzitutto l’assenza di controllo sullo spedizioniere e sulla spedizione, le incertezze sulle responsabilità nel caricamento del mezzo che viene a ritirare la merce, ma anche l’impossibilità di offrire un customer service adeguato e le difficoltà nel reperire evidenze in grado di provare l’avvenuta esportazione (o cessione intracomunitaria).
“Non abbiamo ancora individuato la resa del futuro, probabilmente partiremo con la Fca (ovvero Free carrier o franco vettore, ndr )che è quella che si discosta meno dalla ex works, nell’ottica di un approccio graduale” ha spiegato Saporiti. Ad oggi Vibram – che nel frattempo si è dotata internamente di una esperta di questioni doganali, la custom specialist Francesca Invernizzi – sta trattando questa possibilità con due clienti. “Nel futuro potremmo pensare anche di dotarci di un ufficio spedizioni interno” ha aggiunto Saporiti, evidenziando la necessità di avere maggiore controllo non solo sui flussi in uscita ma anche sulle importanti importazioni di materie prime necessarie per la produzione.
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