H&M valuta quali approvvigionamenti ricevere per via aerea
La crisi del Mar Rosso sta portando la catena svedese a ridefinire la supply chain, ma ancora non sta impattando sulla sua profittabilità
L’interdizione della rotta per il Mar Rosso e per il canale di Suez provocata dagli attacchi degli Houthi costituisce una fonte di preoccupazione per l’industria dell’abbigliamento e in particolare per H&M, ma “al momento” i noli più elevati del trasporto non stanno generando impatti significativi sulla profittabilità.
Lo ha dichiarato a Reuters il neo-amministratore delegato dell’azienda, Daniel Ervér, segnalando che il gruppo, nota catena svedese di abbigliamento a basso costo, sta anche valutando cosa trasportare per la più costosa via aerea. “Abbiamo aumentato la velocità della nostra supply chain – ha aggiunto – “ma questo ci rende ancora un pochino più vulnerabili rispetto alle discontinuità”.
Secondo l’agenzia di stampa, H&M e la collega irlandese Primark sono tra le catene di abbigliamento potenzialmente più toccate dalla crisi, dato che si approvvigionano principalmente da fornitori asiatici e ricevono le loro merci tramite trasporto marittimo. Zara invece fa affidamento su una quota maggiore di fornitori situati nei pressi dell’Europa e utilizza più frequentemente il trasporto aereo. Tuttavia anche H&M, riporta Reuters citando le parole della precedente Ceo dell’azienda, Helena Helmersson, avrebbe già avviato un processo di nearshoring, puntando a individuare supplier in particolare in Europa e in America Latina.
Secondo l’agenzia di stampa l’azienda, insieme ad altri grandi attori del comparto dell’abbigliamento quali Adidas e Asos e alla catena della Gdo Walmart, aveva carichi a bordo della Maersk Tanjong.
La nave, che aveva lasciato la Thailandia lo scorso 2 dicembre in direzione del canale di Suez, il 17 dicembre aveva modificato la sua rotta puntando per il Capo di Buona Speranza al fine di evitare il rischio di essere oggetto di attacchi. La diversione aveva aggiunto 5 giorni alla durata del suo viaggio, terminato poi nel porto di Norfolk, in Virginia, lo scorso 19 gennaio, nonché comportato costi extra di carburante per circa 1 milione di dollari. Secondo Reuters altre portacontainer come la Maersk Londrina e la Maersk San Clemente, che avevano iniziato un tragitto analogo a novembre, stanno invece scontando ritardi ben più lunghi, dato che sono ora attese a destinazione non prima della metà di febbraio, con transit time quindi lievitati a oltre 50 giorni.
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